Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, gennaio 27, 2012

Alexander Zemlinsky: musicista retrospettivo

Nel 1974 la «Hochschule für Musik» di Graz diretta da Otto Kolleritsch organizzò un convegno su «Alexander Zemlinsky. La tradizione attorno alla Wiener Schule» nell'ambito di una retrospettiva a lui dedicata dallo «Steirisches Herbst». Quel convegno e quella retrospettiva segnarono il punto di ritorno di Zemlinsky sommerso dall'oblio già prima della morte avvenuta nel '42 in esilio in America. Il compito del simposio sottolineò, allora, puntigliosamente, Kolleritsch - non era tanto quello di far rientrare nel circolo del consumo musicale le sue opere, una sorta di propaganda per la sua Renaissance, quanto piuttosto quello di indagare la posizione e il valore di un'opera e di un musicista che nel suo complesso ebbe, potremmo dire, rapporti privilegiati con la triade della Wiener Schule. Maestro e cognato di Schoenberg, modello di Berg, datore di lavoro di Webern.
Nel 1974 Horst Weber stava ancora lavorando alla monografia su Zemlinsky che apparirà soltanto nel 1977 e che è l'opera standard alla quale riferirsi e per la completezza delle informazioni e per l'analisi complessiva delle sue opere, ed è Weber a Graz ad aprire il convegno con una relazione «Il musicista retrospettivo» che colloca Zemlinsky nel quadro lacerato fin-de-siècle dove sogno e realtà, arte e vita sono entità inconciliabili. Weber fa riferimento alla Fiaba della 672esima notte di Hofmannsthal a suo dire - e a ragione - emblema di questa scissione fisicamente rappresentata dalla Villa e dal Giardino come luoghi dell'isolamento e della contemplazione e della Città come luogo della minacciosa realtà.
Questa opposizione è esemplata da Zemlinsky nei Gesänge Op.13 su testi di Maeterlinck. Come osserva Weber il cammino dell'esteta hofmannsthaliano dalla campagna alla città, come un cammino verso la morte, viene mutato attraverso una riflessione lirica, in una sequenza di stadi della coscienza: dall'abbandono del rifugio all'esperienza della morte nell'ultimo Lied, una radicalizzazione del tema del «Wanderer» schubertiano, costretto a vagare senza casa e senza meta. Un tema cruciale il «Wanderer» e anche il «Fremd» che nello stesso torno di anni trova in un intellettuale vagabondo e sottile come Georg Simmel un suo filosofico e sociologico intonatore. Questo processo della coscienza viene raffigurato in Zemlinsky attraverso una gradazione della tonalità: nel senso che si va da un complicato e vitale intreccio armonico sino ad una sua scarnificazione, oggettivazione che sembra spogliare la tonalità dal suo valore affermativo per divenire espressione del lutto. E Weber, riprendendo una sottile intuizione di Adorno, vede in questi Gesänge, in questo intendere la tonalità come scrigno del dolore e del lutto, come un relitto linguistico, il modello del Wiegenlied di Marie nel Wozzeck.
L'estetismo fin-de-siècle tematizza il disagio per un progresso che distrugge il senso comunitario e si rifugia in un Eden incorrotto, radicalizzando lo scontro campagna/città e preferendo un'isola antimoderna contro la modernità imperante. Il dandysmo fin-de-siècle non scorgeva nel moderno ciò che il moderno nel suo felice dispiegarsi nel tempo ha rimosso, ossia il fatto, per dirla con Adorno che «ciò che è qualitativamente moderno non precorre semplicemente il suo tempo, ma è memore di qualcosa che è stato dimenticato, dispone di riserve anacronistiche, rimaste indietro, che non sono ancora state esaurite dalla razionalità di quanto è immutabile ».
Il saggio che Adorno scrive nel '59, (poi in Klangliguren nel '63), su Zemlinsky deriva da questa consapevolezza dei veri moderni che hanno memoria di ciò che è stato dimenticato. La predilezione della nuova triade viennese per Zemlinsky, il ricordo che si spinge sino alla citazione in Berg, dimostra che il moderno ha in Zemlínsky una riserva anacronistica non esaurita dalla razionalità. Ciò che mi pare più sorprendente nel saggio di Adorno non è tanto l'elogio dello Zemlinsky che si situa sulla linea della Wiener Schule (e fa l'esempio del Lied Da waren zwei Kinder: «esempio di quella tarda tonalità in cui, per così dire, tutti i dodici semitoni sono stati equiparati senza che tuttavia si scivoli cromaticamente dall'uno all'altro anticipazione di quella consapevolezza armonica che si espresse nella concezione compositiva con dodici note», ma per la constatazione che il campo di forze della sua opera ha salvaguardato la propria attualità proprio perché la cosiddetta grande tendenza evolutiva è passata sopra di lui. Esemplare è questo passo del saggio: «Come poca altra musica quella di Zemlinsky racchiude in sé impulsi che hanno messo in movimento il nuovo, successivamente abbandonati lungo il cammino, ma il cui sacrificio manifesta qualcosa del prezzo che bisognava pagare per il progresso che ne sarebbe seguito. E quello della formazione di singoli caratteri chiari e plastici. Essi declinarono sotto la costrizione dell'ideale di una unificazione totale, di un comporre integrale. Tuttavia soltanto da una simile intellegibilità del singolo emana qualcosa di quella forza che non soltanto provocò più tardi l'assoluto chiarimento, l'organizzazione della forma musicale, ma ne è anche la giustificazione. Senza la sostanzialità del singolo impulso, la totalìtà festeggia soltanto una vittoria di Pirro. Zemlinsky ammonisce più di chiunque altro a non dimenticarlo»
La tendenza alla riduzione, all'oggettivazione è ciò che si fa strada sotto l'involucro di una lingua musicale che al «gergo grossolano» piace continuare a classificare tardo romantica: è questa tendenza che approderà alla condensazione melodica, all'abbreviazione melodica (tipica del Verdi dell'Otello dice Adorno, ma ancor più dell'estremo Falstaff e alla riduzione drammaturgica soprattutto nella nascita dell'Infanta e Kleider machen Leute e in Keiderkreis in cui Adorno legge l'influsso di Weill. Ma l'inizio del secondo atto di Traumgörge con il Lied intonato dalla chitarra in scena e un'orchestra assolutamente depouillé e ritmicamente molto mossa annuncia Weill. «C'è mancato poco che Zemlinsky non abbia inventato da solo, per primo il prototipo della Dreigroschenoper», dice Adorno, ma quel prototipo è già nell'inizio del secondo atto di Traumgörge.
Nella sua conferenza al simposio di Graz, Kolleritsch mise in chiaro che la riflessione su Zemlinsky è una riflessione sull'apporto della tradizione nel vissuto della modernità musicale, un modo cioè per consolidare l'idea di una continuità della Wiener Schule a varie riprese sottolineata da Schoenberg.
Nel 1980 la Biennale di Venezia tenta l'operazione di definire la musica nella Secessione e non della Secessione come correttamente sottolinea Mario Messinis. Ma la figura di Zemlinsky alla quale si dà grande rilievo con la prima italiana della Tragedia fiorentina viene messa assieme a quella di Franz Schreker e Einrich W. Korngold. Per fortuna la pubblicazione dei saggi di Adorno su Zemlinsky e su Schreker definiscono le personalità singole e la differenza dell'approccio della triade maggiore e del perché della loro predilezione per Zemlinsky.
Nella presentazione della prima incisione discografica di Traumgörge W. Korngold parla di post-moderno azzerando la dinamicità della tradizione in Zemlinsky e avallando l'equivoco di una dittatura seriale che avrebbe cancellato le altre varianti «viennesi». Una impostazione teorica che dovrebbe favorire l'annessione ai neoromantici di Zemlinsky con l'aggravio di una predilezione ecologica. Non mi sembrano grandi idee.
La coupure interpretativa
La biografia, di Zemlinsky si presta ad altre considerazioni che si possono riassumere nella diagnosi di una coupure interpretativa. Zemlinsky opera come direttore alla «Volksoper», con un intervallo alla «Staatsoper», sino al 1911, va poi a Praga a dirigere il «Deutsche Theater» sino al 1927, poi passa a Berlino alla «Kroll Oper» con Klemperer sino al 1931, rimane alla Hochschule di Berlino sino al 1933, poi emigra in America. L'esperienza di Zemlinsky è di un grande direttore d'opera che insieme a Mahler contribuì a rinnovare il teatro d'opera e a fissare un'idea del teatro d'opera, un canone, nei paesi di lingua tedesca. Questa esperienza viene interrotta dal nazismo. Si opera una coupure della storia dell'interpretazione musicale. La nuova tradizione costruita da Mahler e da Zemlinsky a Praga, e da Zemlinsky e Klemperer a Berlino, è affondata con il nazismo. Così come il nazismo abolendo le stagioni dei «Concerti sinfonici dei lavoratori viennesi» che si tenevano sino dal 1905, e mandando a casa Anton Webern, che a partire dal '3o era diventato il direttore principale di quei concerti, ha inferto un colpo irreparabile ad una linea interpretativa che coniugava il moderno con la tradizione. Sono effetti secondari di una cancellazione fisica che hanno però messo in crisi lo stesso concetto di eredità culturale e musicale. Il destino di Zemlinsky, l'oblio di Zemlinsky come musicista e come interprete possono essere assunti a cifra della catastrofe europea.

Piero Violante (da "I papillons di Brahms", Sellerio, 2009)

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